Mercato Unico e futuro dell’Europa. Intervista a Enrico Letta
Il futuro dell'Europa. Intervista a Enrico Letta sul mercato unico Europeo.
Abbiamo parlato di sostenibilità, integrazione, formazione e semplificazione, per favorire la competitività dell'Europa, anche attraverso un'economia verde e digitale.
Il mercato unico rappresenta un tassello fondamentale per continuare a perseguire gli obiettivi comuni di crescita dell’Unione europea e invertire una tendenza che vede una progressiva marginalizzazione del nostro continente sull’arena globale. Questa impostazione è alla base del rapporto sul futuro del mercato unico da lei redatto su mandato delle istituzioni UE e rappresenta anche filo conduttore del libro in cui racconta questa avventura. Questa lettura ha dimostrato di aver raccolto consensi sulla scena europea, al punto da essere condivisa anche da Mario Draghi nel suo rapporto sul futuro della competitività europea. Quali saranno dunque i prossimi passi da intraprendere?
Il rapporto presentato ad aprile al Consiglio europeo e alla Commissione delinea una serie di priorità, fondamentali per mettere il mercato unico nelle condizioni di dispiegare tutto il proprio potenziale in un contesto globale drasticamente cambiato rispetto a quando è stato istituito, ormai più di 30 anni fa. Innanzitutto, il mercato unico deve sostenere il finanziamento dei grandi obiettivi strategici dell’Unione europea, primo fra tutti la transizione verde e digitale, perché il loro successo dipende dalla capacità di reperire adeguate risorse senza scaricarne il costo su poche categorie. In secondo luogo, deve facilitare la crescita delle imprese europee, perché queste possano competere ad armi pari coi colossi americani e cinesi. In terzo luogo, deve salvaguardare il nostro modello di economia sociale di mercato e dimostrare di poter generare benefici per tutte e tutti, in particolare per le PMI e le cittadine e i cittadini che vivono nelle regioni economicamente meno dinamiche. Infine, è necessario migliorare il modo in cui sono sviluppate e applicate le norme del mercato unico, con una drastica operazione di razionalizzazione, semplificazione e sburocratizzazione.
In un contesto come quello attuale nel quale la Cina, l’India e gli altri Paesi del c.d. BRICS assumono un ruolo sempre più strategico per l’economia e gli equilibri geopolitici, l’Unione Europea soffre ancora a causa di forze centrifughe che vorrebbero diminuire le sue sfere d’azione. Cosa accadrà ai Paesi Europei se non saranno in grado di superare gli individualismi nazionali? Quali saranno i risvolti economici e politici della conseguente marginalità a livello internazionale?
Il rischio della frammentazione è di trovarci, già tra pochi anni, esclusi dai tavoli che contano a livello globale. Nessun Paese europeo, da solo, ha più il peso economico e demografico per confrontarsi alla pari con le grandi potenze mondiali. Muoversi divisi significa quindi condannarsi all’irrilevanza. Come Unione europea, invece, abbiamo ancora la possibilità di mantenere una leadership tecnologica ed economica, di difendere i nostri valori e i nostri modelli di welfare, di svolgere un ruolo da protagonisti nella definizione di standard e regole globali. Rinunciare a giocare questa partita implica per forza di cose perdere una parte del nostro benessere e della nostra sovranità. Un esito che penso nessuno si auspichi.
Rispetto al “gigantismo” degli Stati Uniti, il valore dell’economia Europa, è frutto di un “mix tra piccolo e grande, dove il piccolo va tutelato”. Le PMI rappresentano la quasi totalità delle aziende italiane, con una percentuale di occupati pari a circa il 76,5% del totale. La crescita e l’internazionalizzazione di queste aziende è spesso bloccata da difficoltà burocratiche. La proposta di costruire un “28esimo Stato virtuale” quali vantaggi e prospettive potrebbe portare? Secondo lei, per realizzare una completa integrazione delle imprese nel Mercato Unico, è necessario formare anche figure professionali in grado di svolgere un ruolo di guida e di supporto?
La proposta di creare un “28esimo Stato virtuale” porterebbe a una drastica semplificazione nell'accesso ai benefici del mercato unico per le aziende. Attualmente, un'impresa che desideri espandersi in un nuovo mercato UE (ad esempio, un'azienda italiana che intenda operare in Spagna) si trova di fronte alla necessità di rispettare normative diverse in ogni Paese, con conseguenti complessità operative e alti costi di compliance. Questo accade perché in molti ambiti, dalla tassazione al diritto societario, ogni Paese applica le proprie leggi (nel nostro esempio, in Italia valgono le normative italiane e in Spagna quelle spagnole). La conseguenza è che l'accesso effettivo al mercato unico rimane appannaggio soprattutto delle grandi imprese, che possono contare sul supporto di società di consulenza o di studi legali interni per navigare queste complessità. La proposta del “28esimo Stato virtuale” permetterebbe invece a un’impresa di applicare un unico quadro normativo valido in tutti i Paesi membri, eliminando la necessità di costituirsi secondo le leggi nazionali e di dover rispettare di volta in volta le norme del Paese in cui opera. Questo ridurrebbe drasticamente le barriere d'accesso al mercato unico, favorendo una spinta alla crescita e all’innovazione, soprattutto per le PMI, che finora hanno beneficiato troppo poco dell'integrazione europea. Naturalmente, rimarrebbe cruciale il ruolo delle figure professionali capaci di fornire guida e supporto, ma queste opererebbero all'interno di un contesto molto più snello e integrato.
In Italia, il Dottore Commercialista rappresenta un ponte tra le aziende e le Istituzioni nazionali ed europee, conoscendo approfonditamente entrambi questi mondi. Nella definizione del 28° ordinamento, potrebbe essere utile coinvolgere figure come i dottori commercialisti che fornirebbero una visione trasversale sui bisogni, ma anche le criticità?
Assolutamente sì. D’altronde, proprio questo è uno dei grandi insegnamenti del viaggio che ha accompagnato la stesura del rapporto e che è raccontato nel libro: non è possibile lavorare a un aggiornamento del mercato unico senza un dialogo costante con le categorie e le figure professionali che ogni giorno lo fanno vivere. I progetti calati dall’alto non funzionano, risultati concreti possono arrivare solo con un lavoro serrato di confronto e dialogo sociale. Sono certo che il contributo dei dottori commercialisti può essere prezioso non solo nella definizione del 28° ordinamento, ma in numerosi ambiti; penso ad esempio all’enorme capitolo della libera circolazione dei servizi, dove la loro esperienza potrebbe promuovere una maggiore integrazione tra i mercati nazionali.
ll mercato unico è stato fondato su quattro libertà fondamentali: la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Nel suo libro, mettendo al centro il capitale umano, propone una quinta libertà, la “conoscenza”, uno strumento fondamentale per potenziare la ricerca e l'innovazione nel mercato unico, ma anche per aumentare la competitività e per essere protagonisti della transizione digitale ed ecologica. Quale può essere il ruolo della scuola? Immagina un sistema di istruzione più integrato tra i vari paesi e maggiori possibilità di interscambio come è stato l’Erasmus?
Una delle proposte presenti nel rapporto è proprio quella di estendere le opportunità di mobilità a tutti gli studenti, democratizzando gli scambi educativi in tutta l'UE. L’esperienza della mobilità dovrebbe diventare una componente integrata e obbligatoria dell'istruzione secondaria per tutti i giovani europei sotto i 18 anni, nell'ambito di un'iniziativa “Erasmus per tutti”. L’obiettivo è garantire che la mobilità non sia un privilegio riservato a pochi, ma un diritto fondamentale per tutti, promuovendo un senso di appartenenza e solidarietà europea. Un grande obiettivo, come scritto nel Rapporto, sarebbe far sì che entro il 2030 la mobilità degli studenti delle scuole superiori sia la norma, sostenuta da sistemi educativi armonizzati, programmi di formazione degli insegnanti rafforzati e un aumento dei finanziamenti da parte dell'UE. Questa strategia non solo favorirebbe una società più inclusiva, ma sosterrebbe anche l’innovazione e lo scambio di idee.
Nel suo viaggio attraverso l'Europa, ha osservato da vicino non solo la sua bellezza e diversità, ma anche le sfide legate all'integrazione, come ad esempio la mancanza di connessioni efficienti tra le capitali europee, che riflette in parte le difficoltà nel raggiungere una piena unione tra i Paesi membri. Crede che queste sfide infrastrutturali siano anche simboliche di un'Europa ancora frammentata? E secondo lei, in che modo i più giovani possono contribuire a superare queste barriere e costruire un'Unione Europea più unita e protagonista a livello internazionale?
Sì, queste barriere sono anche simboliche perché rappresentazione concreta di un’Europa che ancora fatica a pensarsi tale, a concepire grandi progetti che superino i confini nazionali. Sono barriere che hanno le proprie radici nelle menti e negli immaginari, ma che si fanno poi fisiche. I più giovani possono però aiutarci a superarle, perché per loro sono ormai prive di significato. Questa generazione ha capito che le grandi sfide si giocano a livello globale, le mobilitazioni per il clima ne sono la prova. Serve però dare loro la parola. Nel Rapporto ho suggerito di istituire delle conferenze permanenti dei cittadini, per rafforzare la dimensione democratica del mercato unico e dare ai cittadini un luogo dove portare all’attenzione delle istituzioni le proprie istanze. Se saranno realizzate e implementate con la giusta volontà politica, sono sicuro che i giovani europei sapranno utilizzarle per farsi sentire.